martedì 23 novembre 2010

Recensione a LA FIRMA DEL DIAVOLO (Stefano Valentini in "La nuova Tribuna Letteraria", n. 100)





Recensione di Stefano Valentini

La Nuova Tribuna Letteraria – Numero Cento, pag. 43

Fiorella Borin
LA FIRMA DEL DIAVOLO
Tabula Fati, Chieti 2010

Siamo nel 1588, in pieno tempo d’Inquisizione e caccia alle streghe, quando «il computo dei roghi era perennemente in difetto: ne mancava sempre uno». La storia comincia con l’incontro tra un cavaliere, travisato per apparire un vagabondo, e un frate, che si trova in viaggio – esorcista inviato dal vescovo di Albenga – per raggiungere un uomo della Chiesa, il commissario Giulio Scribani, particolarmente spietato e compiaciuto del proprio potere di vita e di morte. Sono luoghi risparmiati dalla peste ma non dal sospetto e dalla paura, dovuta non tanto agli ipotetici sortilegi quanto al rischio, concreto, di divenire oggetto d’indagine e di tortura. Il frate muore, cadendo dal suo mulo, e il cavaliere può così assumerne le vesti e l’identità. Il suo intento è soccorrere e scagionare, fingendosi autorevole uomo di Dio, la donna amata, Magdalena Guerra, sotto processo in quei giorni proprio a causa delle sue uscite notturne per incontrarlo: una semplice relazione clandestina, infatti, è stata scambiata dai giudici fanatici e ottusi per un legame carnale con il diavolo. Fin qui la storia è simile ad altre, già da molti narrate, su quell’epoca di superstizione: ma quando il protagonista, interpretando il suo nuovo ruolo, si troverà davanti alla donna amata, la speranza di poterla salvare verrà vanificata dalla confessione di lei, un autentico colpo di scena che trasforma il breve romanzo di Fiorella Borin in una vicenda assolutamente inattesa e originale.
Fiorella Borin denuncia la folle strage di donne innocenti ma, ancor più, dà forma ad una magnifica storia d’amore, delineata dapprima attraverso i pensieri e i ricordi del protagonista e quindi, dopo la morte di Magdalena sul rogo, in un crescendo di sublime intensità, emozionante e coinvolgente oltre ogni dire; fino alla rivelazione conclusiva, intrigante e delicata, tanto semplice quanto sorprendente.
L’autrice, veneziana, è sicuramente – non da oggi, ma da due decenni – una delle migliori narratrici italiane, inspiegabilmente non ancora approdata ai circuiti della grande editoria. Maestra nell’arte del racconto e, come in questo caso, del romanzo breve, dosa con stile perfetto e raffinatissima sensibilità espressiva ironia e amarezza, realismo e meraviglia, acume psicologico e arguzia descrittiva: la commozione che induce nel lettore non sollecita mai un lacrimevole sentimentalismo, ma la sincera compassione e partecipazione alle sorti di personaggi dalle vicende umane uniche e irripetibili. Preferibilmente collocati, e questo libro non fa eccezione, su uno sfondo nel quale caratteri interamente nati dalla fantasia si intrecciano a figure realmente esistite e a luoghi, scenari, circostanze storicamente documentate, con tanto di citazioni da carte e libri d’epoca. Ci creda, chi ancora non la conoscesse, che nessuno in Italia scrive come Fiorella Borin e nessuno dei suoi libri è un libro come gli altri: per noi è ogni volta una gioia leggerla e poterne tessere gli elogi, perché pochissimi quanto lei li meritano.

Stefano Valentini *

* Direttore de “La Nuova Tribuna Letteraria”

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